Tra qualche giorno ho un esame universitario. L’argomento è il welfare o stato sociale. Sono teso come una corda di violino. Sono preparato, eppure mi sembra di non avere capito nulla.
E’ anche per rilassarmi un po’ che vi scrivo, così sposto i miei pensieri altrove…
In particolare a Carla e Ali, che mi hanno scritto di recente.
Sono studente universitario, iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche a Torino, ma sono di Roma. Carla mi ha chiesto come sarebbe stato il mio natale. Come gli ultimi quindici passati qui dentro, con malinconia e tristezza.
Qui dentro sono garantiti i diritti primari, quali la salute e la dignità umana. Purtroppo manca il sesso. Secondo me resta un’evoluzione incerta sui livelli di integrazione culturale che crea la necessità di evidenziare nuovi diritti. Per me, che sono dentro da quattordici anni, la mancanza, la privazione del sesso mi procura forti disagi. Non vorrei passare per un assatanato, ma sento un bisogno quasi fisiologico di sesso.
Non voglio parlare del carcere come di una privazione estrema della libertà, ne voglio parlare per quello che può dare concretamente, anzi che dà. In carcere ci sono varie attività da svolgere, senza che nessuno ti obblighi a farlo. Ci sono corsi professionali, di computer, da elettricista, etc. Ma molti preferiscono poltrire a letto e oziare, in attesa della manna dal cielo.
La funzione del’ carcere è il tempo. Lo puoi chiamare nemico se lo vedi passare vanamente, ma lo puoi chiamare amico se lo metti davanti a te come insegnante.
Forse sono io che sto delirando?
Ciao, a presto, Marco
Ps Carla, ho letto il Piccolo Principe. E devo dire che dovremmo esserlo un po’ tutti, piccoli principi.
Ali, queste cose le ho scritte per te, ma non parliamo più del carcere: sono talmente assuefatto che a tratti mi sembra di far parte dell’arredamento. Cambiamo argomento, ti va?
Comments 3
Caro Marco,
Immagino che quando riceverai questa mia lettera avrai già sostenuto l’esame. Com’è andata?
Stamattina sono uscita un attimo dall’ufficio e appena ho visto lo stagno antistante e la sella del diavolo, ho provato un tuffo al cuore.
Hai letto il Piccolo principe…
Io adoro quel libro, perchè mi rispecchia e perchè ho avuto la fortuna di essere come la rosa del piccolo principe…
Sai Marco, ho letto vari commenti sulle condizioni della vita dei detenuti, e penso che il problema di cui parli, la mancanza di vita affettiva e sessuale, sia una crudeltà fine a se stessa, nel senso che, se il carcere e lo sconto della pena devono tendere alla “rieducazione” perchè infliggere una privazione così totale?
Tu credi che sia possibile fare qualcosa perchè le cose cambino?
Ma hai detto che non vuoi più parlare di carcere…
Ciao
Carla
Amici della sezione Prometeo,
In questi giorni gli Italiani hanno assistito alla caduta del governo Prodi, in un Senato che aveva poco di “onorevole”.
Stamattina Eugenio Scalfari ha scritto questo editoriale:
POLITICA La rotta per salvare
il paese dei naufragi
di EUGENIO SCALFARI
IL GIORNO in cui ha deciso di staccare la spina e mandare a casa il governo e forse la legislatura, Clemente Mastella ha recitato la poesia d’una poetessa brasiliana che concludeva con il verso “Lentamente muore” riferito ovviamente al destino politico di Romano Prodi. Una civetteria letteraria? Un modo elegante di annunciare il suo voto negativo da parte d’un personaggio nei cui comportamenti l’eleganza è piuttosto rara?
Direi soprattutto una citazione sbagliata. E’ vero che l’esperienza politica del governo Prodi si è conclusa esattamente in quella seduta del Senato, non molto lentamente poiché la sua vita è stata abbastanza breve. Ma non è stata soltanto l’esistenza del governo Prodi a concludersi. E’ terminato un ciclo e sono di colpo invecchiati tutti i protagonisti e i comprimari che lo hanno animato, quale che sia la loro età anagrafica e professionale. Tra di essi anche Mastella.
Traslocando al centrodestra forse avrà i collegi pattuiti con Berlusconi, ma non avrà più (per nostra fortuna di italiani) quei poteri di interdizione che il suo uno per cento gli dava in una maggioranza friabile e microscopica. Il Mastella degli ultimatum manterrà la signoria di Ceppaloni rientrando nel rango dei vassalli di paese dal quale era inopinatamente uscito in forza di una legge elettorale (“la porcata” votata dal centrodestra nello scorcio della scorsa legislatura) che ha reso il suo uno per cento essenziale come altrettanto essenziali sono diventati gli altri microscopici per cento dei Diliberto, dei Pecoraro, dei socialisti e perfino i voti individuali dei Dini, dei Turigliatto, dei De Gregorio.
La citazione giusta doveva dunque essere un’altra. Sta in “Allegria di naufragi” di Ungaretti e suona così: “Si sta come d’autunno/sugli alberi le foglie”. Riguarda tutti, insigne Mastella, non soltanto Prodi.
Adesso si discute sulle vere cause della crisi. Giuliano Ferrara sostiene che sia il contrasto pluridecennale tra magistratura e classe politica; altri ne fanno carico alla nascita del Partito democratico; altri ancora al bombardamento mediatico o al cardinal Ruini e ai vescovi italiani o al fatto che il governo mancava di una missione, a differenza del Prodi del ’96 che si propose di portare l’Italia nell’Eurolandia e ci riuscì.
La tesi di Ferrara non ha alcun riscontro probatorio: Prodi non cadde nel ’98 per cause di giustizia, né il centrosinistra cadde nel 2001 per contrasti con la magistratura, né Berlusconi nel 2006. Il bombardamento mediatico c’è stato (e molto intenso) contro Prodi ma ci fu anche, sia pure assai più ridotto, contro il Berlusconi della precedente legislatura; comunque non basta a spiegare una crisi di queste proporzioni.
Quanto alla mancanza di una missione, che Angelo Panebianco gli imputa sul “Corriere della Sera” di ieri, si tratta di un argomento a mio avviso inesistente. La missione era duplice e fu dichiarata esplicitamente durante la campagna elettorale: risanamento dei conti pubblici, ereditati in pessime condizioni dal governo Berlusconi/Tremonti; rilancio della crescita economica e perequazione delle intollerabili disuguaglianze sociali in essere. Il primo punto è stato realizzato con la Finanziaria del 2007, il secondo aveva preso l’avvio con quella del 2008 e aveva già dato frutti importanti.
Restano le pretese responsabilità del Partito democratico, delle quali manca tuttavia qualunque traccia. Veltroni e il gruppo dirigente del Pd hanno concordato e appoggiato completamente l’azione del governo. Il dissenso c’è stato non con il governo ma con la maggioranza su un punto soltanto anche se essenziale: il rifiuto del frazionamento insopportabile dei partiti, dei veti, della rissa continua, delle estenuanti mediazioni, del rallentamento esasperante di ogni decisione, dell’immagine desolante che rimbalzava su un’opinione pubblica insicura, impaurita dalla globalizzazione, frustrata dalla Babele che i “media” non potevano non registrare e che la potenza mediatica berlusconiana esasperava con ogni mezzo.
Il Pd ha denunciato questo stato di cose e si è impegnato per quanto stava in lui di porvi riparo. Ha creato una nuova forma-partito basata sulle primarie. Ha annunciato che alle future elezioni si sarebbe presentato da solo e che le alleanze le avrebbe stipulate sulla base d’un programma semplice, abbandonando la prassi universalmente diffusa di programmi che hanno il solo scopo di metter d’accordo sulle parole ma non nella sostanza il diavolo con l’acqua santa.
Su questo punto, è vero, il Pd di Veltroni è stato netto. Sarebbe possibile rivedere sullo stesso palcoscenico affratellati per sole due ore Mastella, Pecoraro, Boselli, Giordano, Ferrero, Padoa-Schioppa, Dini, Diliberto? Sarebbe possibile, senza che quelle presenze e quelle persone fossero non solo fischiate ma disprezzate sia dalla destra sia dalla sinistra sia dall’antipolitica becera sia dagli italiani responsabili e maturi?
Questo ha detto il Partito democratico e su questo ha promesso di tener ferma la barra del suo timone. Speriamo che mantenga l’impegno. Se perderà, sarà con onore e potrà continuare la sua battaglia. Ma solo a queste condizioni potrà giocare la sua partita con molte speranze.
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Dopo la sconfitta di Prodi al Senato Ezio Mauro ha scritto che questo governo è stato assai migliore di quanto apparisse, “ha razzolato bene e predicato male”. Sono anch’io del suo stesso parere e cominciano a dirlo anche quelli che finora l’hanno avuto come bersaglio fisso sul quale sparare. L’ha biascicato a mezza bocca perfino Berlusconi, che è tutto dire.
Mi ha dato un senso di sincera tristezza assistere dagli schermi televisivi a quella seduta che non esito a definire drammatica, anzi tragica per la sguaiataggine da bordello in cui è precipitata l’aula del Senato al momento delle votazioni. Le aggressioni fisiche, la rissa, gli sputi, gli svenimenti e quello spregevole buffone che dai banchi missini, col pullover rosso annodato al collo, gli occhiali neri e una bottiglia di spumante in mano, lanciava sconcezze e innaffiava di spuma i banchi e i senatori che vi erano seduti. Ha fatto il giro del mondo quell’immagine.
Non so se e quando il Senato riaprirà le porte, ma a quel guitto da due soldi dovrebbe esser comminata dalla presidenza la sanzione massima. Quanto al suo partito, dovrebbe espellerlo su due piedi, ma sono certissimo che non lo farà. C’è una parte (non tutta per fortuna) della classe politica che si diverte e festeggia personaggi come Strano e come Cuffaro, “vasa-vasa”, che festeggia con i cannoli una condanna a cinque anni di reclusione. Quella politica ha i Beppe Grillo che si merita. Purtroppo su questi lazzi e questa vergognosa giungla di clientele affonda lo Stato, ciò che ne resta.
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Si dice da parte di alcuni che Prodi avrebbe forse fatto meglio a dimettersi senza formalizzare la sua sconfitta al Senato. Si attribuiscono analoghe riflessioni al Presidente della Repubblica ma senza un minimo di riscontri verificabili.
Credo invece (e ancora una volta sono con lui) che Prodi abbia fatto pienamente il suo dovere interpellando entrambi i rami del Parlamento. La sconfitta a Palazzo Madama era più che certa ma doveva essere certificata dal voto e il voto doveva avere la firma di chi lo dava. L’assunzione di responsabilità di chi votava il sì o il no.
Così è stato ed ora almeno questo punto è chiaro. L’ombra d’un eventuale reincarico avrebbe accresciuto tensioni e confusioni. Personalmente ho visto con amarezza la caduta di un uomo forte delle sue convinzioni che ha accettato il voto contrario con dignità repubblicana. Senza quel passaggio senatoriale, senza la sofferenza di quella sconfitta, le dimissioni date dopo la fiducia ottenuta alla Camera avrebbero avuto l’aria d’un sotterfugio. Così prevede la Costituzione e Prodi ad essa si è attenuto semplificando per quanto stava in lui il fardello pesantissimo che ora è sulle spalle del Capo dello Stato.
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Il Presidente si è preso oggi una giornata di riflessione dopo aver iniziato le consultazioni che entreranno nel vivo domani e si concluderanno con l’incontro con i partiti maggiori dopodomani. Si parla anche di possibili incarichi esplorativi nel tentativo di convincere Berlusconi, Fini e Bossi all’idea di un governo “di scopo” che abbia il compito di varare la legge elettorale e gli altri adempimenti connessi e nel frattempo sia in grado di fronteggiare l’emergenza economica e finanziaria che sta scuotendo il pianeta.
Ho la sensazione che gli incarichi esplorativi abbiano poco senso. Non c’è niente di recondito da scoprire.
Quanto alla “moral suasion” nessuno ha maggior titolo per usarla del Capo dello Stato. Ci si domanda quante divisioni (nel senso militaresco del termine) abbia a sua disposizione il Presidente della Repubblica, di quali strumenti operativi disponga per realizzare quello che è il suo dichiarato convincimento: andare al voto dopo aver cambiato il sistema elettorale e non prima. E a questa domanda la risposta è pressoché unanime: pochissime divisioni, pochissimi strumenti, forse soltanto l’opera di convincimento da esercitare su chi non è del suo stesso parere.
Ebbene, uno strumento il Presidente ce l’ha, deriva direttamente dal dettato costituzionale ed ha anche a suo sostegno qualche importante precedente. La Costituzione prevede che il Presidente, in presenza d’una crisi di governo, “dopo avere ascoltato le opinioni dei presidenti delle Camere, nomina il presidente del Consiglio dei ministri e su sua proposta i ministri. Il governo, dopo aver prestato giuramento, si presenta entro quindici giorni alle Camere per ottenerne la fiducia”.
Fin qui la Costituzione. Tutte le altre formalità sono state introdotte dalla prassi ma non sono scritte negli articoli della Carta. Nulla vieta, anzi così è prescritto, che mercoledì o quando egli decida, il Presidente convochi la persona da lui scelta e la nomini senza altri indugi alla guida del governo e che entro poche ore riceva dal nominato i nomi dei ministri. Firmati i decreti, i ministri giurano e il governo entra nel pieno possesso dei suoi poteri in attesa di ricevere la fiducia dalle due assemblee parlamentari.
Due settimane dopo vi sarà il voto di fiducia. Se sarà positivo il governo avrà adempiuto a tutte le condizioni previste, se sarà negativo il governo si dimetterà e il Capo dello Stato avrà motivo di sciogliere il Parlamento.
Quali vantaggi possono venire da questa correttissima procedura? Non sarebbe il governo presieduto da Prodi ad “accompagnare” le elezioni, ma un nuovo governo istituzionale. Berlusconi e Fini preferiscono avere Prodi ancora in carica per poter scaricare pugni a volontà su un “punching ball” che non ha titolo né mezzi per rispondere. I pugni sferrati su Prodi colpirebbero inevitabilmente il Partito democratico che anziché presentarsi come l’unica novità in campo verrebbe incastrato sotto il patronimico prodiano.
L’arrivo in campo d’un governo composto interamente da personalità indipendenti e tecnicamente competenti metterebbe il Parlamento nelle condizioni migliori per votare o negare la fiducia, senza doversi far carico di proporre questa o quella soluzione. Al governo del Presidente i partiti e i singoli parlamentari debbono solo rispondere sì, no, astenuto, o disertare la riunione.
Nessuna forza politica rinuncerebbe a nulla. La conta non si fa in piazza ma in Parlamento dove ognuno risponde di sé “senza vincolo di mandato”.
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Conosco la possibile obiezione: se attorno ad un simile governo si formasse una inedita maggioranza, saremmo in presenza di un ribaltone. Obiezione che non ha alcun sostegno. Infatti il ribaltone, o cambiamento di maggioranza, non è previsto né vietato in nessun articolo della nostra Costituzione ed è in palese contrasto con la libertà del singolo parlamentare di comportarsi come meglio ritiene nell’interesse del paese.
Del resto di ribaltoni e ribaltini è piena la storia della nostra Repubblica parlamentare. Il governo berlusconiano del ’94 esordì con il ribaltino di Tremonti che passò dal centro al centrodestra a pochi giorni di distanza dalla sua elezione. Pochi mesi dopo fu la Lega a lasciare l’alleanza di centrodestra determinando la crisi e la nascita del governo Dini. Nel ’98, caduto Prodi, D’Alema incassò i voti di Mastella rimpiazzando con lui quelli perduti di Rifondazione. Adesso è Mastella che abbandona la coalizione in cui è stato eletto e passa dall’altra parte. Chi vituperava i ribaltoni applaude oggi i ribaltati. Perciò questo tipo di obiezione non ha senso alcuno con la legislazione vigente.
Per quanto riguarda i precedenti governi istituzionali, ne ricordo i tre più clamorosi: quello di Pella del 1953, nominato dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi senza che il suo nome fosse stato indicato da alcun gruppo parlamentare e meno che mai dalla Dc; quello del sesto governo Fanfani, nominato da Cossiga nell’aprile del 1987, sfiduciato dalle Camere e in particolare dal suo partito, che portò alle elezioni anticipate nel giugno dello stesso anno. Infine il governo Dini del ’95, nominato da Scalfaro, che trovò in Parlamento il consenso del centrosinistra e della Lega.
Una procedura del genere ha dunque dalla sua cospicui precedenti oltre che le norme della Costituzione. Aggiungo per quel che vale – e vale molto – che anche ha dalla sua l’appoggio di tutte le parti sociali, dai sindacati ai commercianti e alla Confindustria. Cioè dall’insieme del paese che produce, lavora e consuma. Forse quel paese non ama i politici, ma sa che della politica nessuna società può fare a meno, salvo i paesi (e i paesetti) tribali.
(27 gennaio 2008)
caro marco
prima di tutto grazie per esser tornato per me, con grande pazienza, su argomenti scomodi. sono assolutamente ammirata di fronte alla tua incredibile capacità propositiva. voglio dire, mentre io, da esterna, mi infervoro parlando di massimi sistemi come una (patetica) paladina della giustizia, è eccezionale come tu, pur provando sulla tua pelle ogni giorno questa dibattuta privazione di libertà, riesca a parlarne in termini positivi e propositivi. come veramente si senta una grande coscienza dietro le tue parole ed una accettazione non passiva, una voglia di cambiamento sudata con fatica, che ti fanno sembrare tutto meno che parte dell’arredamento fornito dall’amministrazione penitenziaria. (è un po’ come se io avessi parlato di un cappello e tu in un attimo mi avessi mostrato che è in realtà un boa che ha mangiato un elefante, per rimanere sul tema di carla..).
chiedo scusa se con i miei deliri idealisti sono sembrata fuori luogo; al tempo stesso questi “deliri idealisti” sono importanti per me perchè affrontandoli ogni giorno servono a tenermi sveglia e mi costringono a chiedermi continuamente il perchè delle cose (o almeno a sforzarmi).
quello che scrivi mi riporta all’importanza di mettere dei freni, a questi deliri, per non renderli sterili o peggio dannosi… penso sia la concretezza con cui ti sei messo di fronte al tempo che ti ha consentito di farcela in tutti questi anni. è così?
ma hai ragione, mi va anche di cambiare argomento.
sono sicura che il tuo esame è andato bene, quale sarà il prossimo? penso possa essere un bell’argomento di conversazione.
stai bene a presto
ali