Pierrot continua a raccontare l’evento così traumatico della sua infanzia. Il gatto Ciccio lo sta ad ascoltare.
E cominciai a correre non appena fuori. Ma non corsi verso il bar, corsi verso dei giardini che erano lì vicini. Era un periodo in cui faceva ancora caldo. Entrai in quello che più che un giardino sembrava un parco in miniatura, con grosse piante e dei prati. Correvo in quelle stradine, vedevo appannato mentre le lacrime sgorgavano dai miei occhi come acqua dalla sorgente, correvo, correvo e cercavo un posto pr nascondermi. C’era un campo con le tribune, e mi infilai lì sotto, rannicchiandomi piangendo, tremando e forse parlando con Dio, chiedendo perché, che cosa avevo fatto… chiedendo aiuto. Rimasi in quel posto per circa un’ora, ma sapevo che era ora di tornare, dal momento che i miei tornavano a casa. Richiamai tutte le mie forze e indossai quella maschera che già avevo indossato una volta, non salutai nessuno e mi chiusi subito in macchina. Arrivati a casa, mamma chiese se avessi la febbre, ma io risposi che ero solo stanco.
Fu una notte da incubo. Fu una notte interminabile, la mia notte in quella stanza. Ora non ero solo là dentro, eravamo in tre, e gli altri due erano il mio terrore. Scusami, ma ora vado.
“Dove vai?”
Non so, forse faccio due passi. Forse fumo una sigaretta. Quel che è certo è che voglio un attimo distrarmi.
“Ho capito… Come va?”
(26. Continua…)