Di come combattiamo il carcere presumo di aver detto quasi tutto. Ciò che forse non ho mai spiegato, oltre alla solitudine, l’amarezza e la nostalgia dei propri cari, è il cercare di non far crollare la propria dignità, schiacciata sotto il peso dell’impossibilità di far valere le tue ragioni. In carcere non si può fare nemmeno questo, pena un rapporto disciplinare. Non sto parlando di violenza o urla verso chi è preposto alla nostra sorveglianza, ma proprio il cercare di non sprofondare nella più assoluta disistima di noi stessi come persona individuale.
Il dover soggiacere, volente o nolente, a determinate prassi, per quanto assurde possano sembrare, è un continuo colpire la nostra probità. Ammetto che in un simile contesto non sia possibile fare distinzioni fra persona e persona (da notarsi che non dico da detenuto a detenuto, perché anche se in carcere mi reputo e reputo anche gli altri persone, senza ombra di dubbio ci sono persone a cui allungare una mano significa essere attaccati). Però Gesù ci ha insegnato a porgere la mano anche al più umile e bisognoso di noi. Negi istituti penitenziari ci sono sen’zaltro persone neglette, ma ci sono altre che cercano di riscattarsi andando a scuola o imparando una professione. E altre che dicono: a che pro, visto che fuori sarò solo un ex detenuto. Si parla di carità cristiana, allora mettiamola in opera questa carità cristiana, dando una mano alle persone che sono cadute nella polvere, e aiutamole ad alzarsi. A volte, basta soltanto un sorriso e una parola buona.
Comments 5
ciao liana, io guarda non sono un…”buonista”, ovvero come giustamente sottolinei tù, è dà valutare caso a caso, però certamente concordo chè, la pena in sè è già durissima, appunto..si chiama pena, però non dovrebbe far peggiorare la persona, oppure e questo penso succeda il più delle volte, stroncare una vita per sempre, io per quel poco chè sento dai t.g., e poi bè con racconti di ex detenuti, molto più credibili, e poi con le vostre parole, per mè siete una famiglia, vi voglio bene, bè insomma, noto chè per reati minori si finisce dentro, per reati veramente gravi..và bè lasciamo perdere….., insomma concordo, si dovrebbe dare l’opportunità di imparare una vita nuova, una rinascita, non si può e non si dovrebbe pagare per sempre, io bene non sò come sono gestite le varie situazioni, certo….esempio, proprio stasera hò sentito al t.g. di un carcere, dove producono birra, in altre carceri hò sentito di piccole cooperative, insomma…come dici tù..ci vuole dignità, io guarda non sono in carcere, mà solo il fatto di non trovare lavoro, mi demolisce, poi, non parliamo di cristiani, io penso chè dio è amore, e non ipocrisia, le parole senza fatti sono aria fritta, io ringarzio con tutto mè stesso i volontari chè ci permettono di stare in contatto, loro sì chè sono grandi, come sicuramente, lo sono altre persone, io non abito a torino , mà in provincia, sè nò, avrei già pensato di chiedere di poter essere di aiuto, in questa iniziativa, o in altre, per dividere assieme questo sentiero chiamato vita, speriamo chè i nostri appelli, non siano vani, un forte abbraccio, maurizio.
Cara Liana,
la signora Valeria pur essendo lontana dai suoi parenti conserva un pensiero religioso e amoroso verso di loro.
Secondo la signora Margherita lei ha detto delle cose giuste perché la speranza è l’ultima a morire!
La signora Gina le consiglia di farsi coraggio e vedrà che presto sarà libera.
La signora Giuseppina invece le dice di avere fiducia nelle persone perché ne esistono ancora di brave. Inoltre bisognerebbe aiutarsi l’uno con l’altro anche se è una cosa rara, molto rara!
La signora Giovanna esclama ci sono tante belle parole!
Saluti gli ospiti della Casa di Riposo Trisoglio: Beatrice, Gina, Vincenza, Rosa, Tommaso, Francesca, Giuseppina, Rosa, Carlo, Antonietta, Cornelia, Piero,Valeria,Caterina, Ulisse, Angiolina, Margherita, Giaele, Brigida, Lidia, Margherita, Riccardo, Giuseppina, Carolina, Maria,Celeste, Maria, Giaele, Giuseppe, Luigi, Osvalda, Michele, Mariola, Assunta, Margherita, Caterina, Giovanni e Giovanna.
Cara Lina, torno a leggere questo blog dopo alcuni mesi, per miei problemi personali, ora risolti; mi ha di nuovo colpito la semplicità e la profondità di ciò che vi trovo…volevo dirti che concordo con te nella necessità di considerare ogni persona provvista di una sua dignità, che ha dimenticata o messa da parte per un motivo piccolo o grande che sia. Non credo in un dio, né in Gesù, ma so con certezza che “uomo” vuole dire essere responsabile, e perciò degno di rispetto anche in una situazione come la tua. Ciao
Non sono mai stato, inquilino forzato di un carcere anche se adesso ci lavoro come aiuto cuoco alla mensa del Personale vigilante.
Non per questo non so cosa sia essere carcerati da volontà esterne alla persona, ed in genere, quasi sempre conflittuali con la volontà individuale.
Ho subito anni di collegio, infatti, ed in ultima esperienza, il periodo militare.
Nei collegi ed in quel periodo, tanto più una persona fa proprio il cervello normativo e tanto meno, quello, collide con il proprio.
Molto più semplicemente, un siciliano ti direbbe: piegati canna che passa la piena.
Con altre parole, sii duttile. Mica è facile, lo so bene!
Piegarsi necessariamente, non necessariamente significa perdere la dignità, a mio avviso, anzi, è tutelare ciò potrebbe andar spezzato da ragioni contestualmente dominanti.
La dignità, a mio vedere, è legata agli aspetti morali dell’identità più intima. In quel dentro di noi, esser degni o indegni, dipende solo da noi.
In quel dentro di noi, l’esterno può piegare la scorza dell’albero che siamo, ma questo non muta l’albero che siamo.
Se lo siamo, naturalmente. Ciao.
ciao Liana
mi piace come scrivi e come rifletti!
sono sicuro che fuori non avrai problemi a continuare la tua strada senza voltarti indietro e colpevolizzarti ma guardare avanti e continuare a camminare come fai adesso.
La vita è un cammino! anzi è un pellegrinaggio!
siamo tutti dei pellegrini, basta essere consapevoli però!
ciao
antonio