Dario e Isabea erano eccitatissimi e non stavano nella pelle, nel momento in cui terminammo di salutare tutti i residenti ad Isabea scese un lacrimone, che gli solcò tutto il suo dolcissimo viso. Eravamo giunti sul promontorio che sovrastava l’accampamento che il mio pensiero era rivolto a Isabea e alla sua incolumità, per tutta la durata che avrebbe avuto il viaggio avrei fatto molta attenzione affinchè non gli accadesse nulla. Una forza superiore alla mia volontà dominava i miei pensieri, ero guidato inconsapevolmente ed ella era una delle ragioni per cui dovevo andare fino in fondo a questa strana storia che ormai aveva preso il sopravvento su tutta la mia povera esistenza.
Dovremo far fronte ad un lungo e pericoloso viaggio, dissi a Dario: sulla sua fronte si leggevano le sue inconfessate preoccupazioni: Dario nella sua vita non si era mai allontanato così tanto dal suo villaggio, e per così tanto tempo. Invece Isabea mi appare molto tranquilla, su di lei non vi è l’ombra di paura: tranquilla , serena ma attenta scruta l’orizzonte. Diamo briglia ai cavalli e continuiamo il nostro cammino.
Dopo circa tre ore di viaggio c’eravamo inoltrati nell’immenso e disteso deserto chiamato dai sopravvissuti il deserto della “DESOLAZIONE”: ai nostri occhi appariva come un immenso tappeto di brillanti quasi magico, quasi irreale tanto che luccicava.
Tutto ad un tratto udì Isabea urlare, e rivolgendosi verso di noi disse: “Guardate lì! In fondo, lì vicino a quelle dune!”. I suoi occhi brillavano come le stelle del firmamento, luminosi più che mai indicandoci con la mano un punto ben preciso che si tracciava all’orizzonte. Vicino a quelle piccole dune infatti c’era qualcosa. Affrettamo il passo portando gli animali al galoppo, eravamo assetati e stanchi, lo erano anche quelle povere bestie che avevano camminato per mezza giornata nel focoso deserto della desolazione e non vedevamo l’ora di rinfrancarci tutti
Giunti nel luogo avvisato, con immenso stupore per ciò che si prsentava davanti ai nostri occhi, non so spiegare quanto accadeva, ma lì c’era proprio una piccola oasi, una vera e propria oasi, una modesta vegetazione la circondava e la avvolgeva, delle piccole macchie di rigogliosi cespugli grondavano di bacche e quasi non reggevano il loro peso tanto erano abbondanti. Dalla fenditura di una roccia sgorgava zampillante della chiarissima e freschissima acqua. Non credevamo ai nostri occhi.
Ci dissetammo, facemmo bere i nostri cavalli , adesso dovevamo prepararci per trascorrere la notte: nel deseto della desolazione la temperatura di notte era capace di raggiungere i 10 gradi sotto lo zero, dopo esserci rifocillati con del pan zenzero e della carne affumicata ci infilammo tutti e tre dentro i nostri sacchi a pelo.
Quella notte sarebbe stata la prima notte trascorsa vicino a Isabea, lei mi guardava, sentivo che mi voleva chiedere qualcosa, ce lo aveva lì, sulla punta della lingua, ma esitava… così si mise a scrutare il cielo. Dopo qualche minuto sussurrò il mio nome: “Telemaco…”. Mai nella vita lo avevo udito pronunciare così dolcemente quel nome. “Riusciremo a trovare la risposta a tutte le nostre domande?” – chiese – “tutto ciò compreso, il nostro sacrificio, dico così caro Telemaco, sacrificio… perchè che io sappia da un viaggio così non è mai tornato indietro nessuno”. La fermai nel suo parlare appoggiandogli dolcemente la mano sulla sua guancia e accarezzandogli il visole dissi: “Non ti preoccupare mia cara Isabea, nulla ci accadrà, io sarò sempre vicino a te, saremo tutti salvi alla fine di questo viaggio e ti asscuro che troveremo quello per cui siamo stati scelti”.
Mi guardò per un attimo, poi si voltò dentro il suo sacco a pelo: “Buona notte ragazzi – disse – cerchiamo di riposare domani ci aspetta una lunga e faticosa giornata”