Liana

Un po’ di tempo fa avevo descritto come ci si sente a non poter essere vicino ai propri cari in certi momenti difficili, il senso di frustazione che ti coglie a non poter consolare e accudire chi amiamo con tutti noi stessi.
Questa volta voglio parlare di una persona che ha poco più di un anno di detenzione e sta soffrendo atrocemente perchè fra poco suo marito sarà operato ad un organo interno di ben tre tumori: due asportabili e uno no. Lei non può stargli accanto se non per pochissimi giorni dati dai permessi.

La vedo distruggersi per questa impotenza e mi dico fortunata perchè pur essendo in carcere e vedere la mia famiglia solo una volta al mese visto che sono distante da loro. Loro sono sani, stanno bene, solo che mi sento quasi più in colpa per questa mia fortuna e ringrazio il signore di questa mia benedizione. Io alla fine delle mie pene li vedrò tutti. Lei forse no, perchè i criminali escono, lei no con poco ancora da scontare. Perchè questa ingiustizia? Perchè è una poveraccia o una straniera. Vorrei che qualcuno mi spiegasse il perchè di tutto questo.

Comments 2

  1. liana…., io pure non capisco, stavolta non posso dirti di più, non trovo parole, posso solo dirti chè pregherò per lei e famiglia, come prego per tè e i tuoi e per tutte voi, con tutto mè stesso e dal cuore. ti invio un forte abbraccio, condividilo con la tua amica chè stà soffrendo. maurizio.

  2. “…. consolare e accudire chi amiamo con tutti noi stessi”, dici.

    Ed invece io vorrei che mi si spiegasse come mai l’anelito sopra detto, non sia riuscito ad impedire gli errori che hanno portato alla galerante separazione fra chi consola, (e/o accudisce, ecc. ) ed i consolati.

    Certamente può esser stato per circostanze più forti del sentimento, o, è stato perché il sentimento più debole delle circostanze?

    In un momento molto duro della mia vita, mi sono ritrovato a dover scegliere fra i doveri verso lo Stato e la “felicità” di chi amavo. Sono stato, così, un evasore di iva e di tasse.

    Quando l’Esattoria è venuta a portarmi via i mobili in casa, certamente mi è dispiaciuto, ma, essendo il sequestro conseguenza del mio erroneo atto, tutto ho fatto fuorché il chiedermi come mai.

    Sono stato vicino a tossicodipendenti per più di un decennio; non pochi, quelli in conclamata, parecchi i sieropositivi.

    Mi ci sono voluti ancora più anni per capire che ho seguito quel problema per curare me, curando loro. Sono “cecità” che accadono nelle fasi di un lutto.

    Può essere lutto la morte di una vita, e può essere lutto la “morte” di uno stato della vita, quale la libertà personale e quella d’arbitrio dovuta ad una galerazione.

    Per una fase della vita, così cognitivamente bifronte, come quella del lutto, ci si può anche chiedere, Liana, se quella persona soffre perché non può assistere il malato che ama, o il malato che ama e che non può assistere è il “coperchio” che cela una sofferenza da mancata libertà, “curata” e/o “giustificata” e/o sublimata dal pensiero verso il malato.

    Non conoscendo la persona in questione, quanto ti dico è pura accademia, ovviamente, ma, non per questo, da non pensarci su.

    Se non altro perché non vi può essere retto bisogno di giustizia dove non c’è un retto bisogno di conoscenza.

    Porta pasienza, Liana se posso risultarti di duro commento, ma, a mio avviso, il provocar riflessioni è molto più efficace di tante preghiere.

    Vero: i criminali escono, ma escono, non tanto perché la giustizia non è eguale per tutti, ma perché non eguali per tutti, sono gli avvocati. 🙂

    Ciao

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