Riflessioni

Non tutti abbiamo la stessa reazione al sapere di essere sieropositivi e altrettanto diverso è il viversi l’essere positivo.
Leggo e ascolto con attenzione tutto ciò che riguarda l’hiv, sicuramente lo faccio per mie paure, per trovare sicurezze, per trovare motivi che mi spingano a vivere come una persona normale, cosa che stranamente non mi sento.        
“Conoscevo” l’hiv attraverso “amicizie” e nella mia testa mi dicevo che se fosse capitato a me mi sarei ammazzato.
Ho avuto un compagno di cella nel 1999 che era sieropositivo e dopo qualche settimana ho saputo da altri di questa cosa, mi ha dato molto fastidio, me la sono presa sul serio, poi ancora una volta nel 2001 ho conosciuto un ragazzo positivo dal 1983, sono stato un anno in cella con lui e mi ha spiegato un po’di cose, non mi ha dato mai fastidio la cosa, anche se posso assicurarvi che in 13 anni di detenzione ne ho sentite di tutti i colori sulla discriminazione dei sieropositivi, in parte lo sono stato anche io. 
La mia ignoranza ha sempre associato la parola hiv o aids alla morte, alla tossicodipendenza e mi ha fatto sempre paura.                 
In carcere il sieropositivo è discriminato dalla popolazione detenuta, oggi si dice di no, che non è vero, ma è solo cambiato il modo di esserlo, perché è cambiato anche il sieropositivo, ne so qualcosa personalmente, domande a doppio fine, sguardi insoliti, sembra quasi volessero vedere il virus che ti cammina sulla pelle.
Personalmente me la vivo molto male, cerco di farmi forza facendo finta di non aver nulla, ma non è affatto così facile, ogni mio sguardo allo specchio è diverso, a volte mi guardo e mi dico:  “sei malato!” e mi rispondo: “ma no, ma vaff..” e scappo via dal pensiero, poi arriva il momento della terapia, non è il massimo, quando prendo tra le dita la pastiglia sembra un macigno, in un attimo faccio milioni di pensieri, ma nello stesso attimo l’ho già presa.  
Perché? Perché il 16/01/2012 quando ho saputo della malattia, ho incominciato ad amarmi, ho incominciato a sentire il peso e il prezzo della vita, ho cominciato a vedere dove ho sbagliato, ho cominciato a capire che ho sprecato una bellissima vita!             
Adesso ne ho una nuova, diversa, di cristallo, devo fare più attenzione a me stesso, devo avere cura di me, devo amarmi di più, mi manca solo una piccolissima cosa: accettare di essere sieropositivo.
Sembra facile, ma non sai quanto desideri superare questo, chiedo aiuto, certo lo faccio, ma sono in carcere e tutto è così difficile, a volte mi è difficile andare a fare un prelievo in infermeria.     
“Marco domani hai il prelievo” “Ok, chi c’è di infermiere?”          
Perché lo chiedo? Perché a volte mi vergogno della malattia.   
E’ un errore, lo so benissimo, ma da solo è l’unico modo che trovo per andare avanti, il far finta di niente!
Credo che una persona detenuta abbia bisogno di più accortezze, più che altro psicologiche, da parte di gente esperta del settore, specie per chi, come me, ha saputo di essere positivo all’hiv all’ingresso in carcere, non essendo tossicodipendente, dove le possibilità di contagio sono maggiori. 
Ci sarebbe bisogno di propaganda per tutti: infermieri, agenti, detenuti.           
Questo a mio avviso aiuterebbe molto tutti in tutti i sensi, e forse cambierebbe anche qualche sguardo un po’pungente.
C’è ancora la figura morte dietro l’hiv, è sfocata ma c’è, si vede e chi ce l’ha se la sente.
Non so, forse c’è vita e non morte, speriamo!

Comments 2

  1. Fatti forza Marco… Hiv non significa più morte! E in ogni caso, ciò che deve importare è la vita!
    Sii positivo (ma nel senso solare del termine) … Vai avanti così!! Ti mando un abbraccio virtuale

  2. Sono le 23:52, torno appena posso nel blog, mi rileggo, penso, ripenso, non significa più morte hiv, ma il peso che sento è ancora enorme…
    Grazie Federica

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