Torino, 24 novembre 2016
Vorrei spiegare in breve la sensazione, la realtà di inadeguatezza e tutto ciò che circonda un sieropositivo in una normale carcerazione e anche fuori.
Quando sei consapevole di avere una malattia infettiva ti informi sui veicoli di contagio per far sì che chi convive con te non debba seguire il tuo destino. Questa consapevolezza può anche portare a un’ossessività, almeno dal mio punto di vista, per dire: a volte capita di dimenticare lo spazzolino da denti in giro o di farsi un piccolo taglio e di accorgersene dopo; si è in difetto anche solo per difendersi a un’aggressione, perché se per sbaglio tiri un pugno sui denti a qualcuno ci sono buone probabilità che con le ferite causate da ambo le parti ci sia un pericolo di contagio. È una cura al dettaglio che ti porta a non essere tanto amalgamabile con il resto del mondo, ma forse a stare apposto con la coscienza. Se sei attento comunque la gente ti guarda un po’ male, e se non sei attento ancora peggio ti guardano e in più vivi con i sensi di colpa verso gli altri, perché non vuoi trasmettere questa malattia.
Quindi ne segue un isolamento mentale e fisico dal resto del mondo, fuori e dentro il carcere. Infatti una volta usciti reintegrarsi all’esterno non è per nulla semplice, e allo stesso modo dentro il carcere devi dare spiegazioni di te, perché oltre la normale presentazione di rito è “correttezza di convivenza” dirlo. E questo avviene ad ogni cambio cella, tutta una nuova spiegazione ben dettagliata, e solo se ne hai il tempo perché magari nel frattempo il tuo concellino è già fuggito dall’ispettore a lamentarsi o se l’è data a gambe dicendoti che ha famiglia e figli a cui pensare; allora magari cambi cella per lavorare e ti trovi da solo con culture già di per sé diverse dalla tua, e con questo tuo “valore aggiunto” diventa una guerra aperta. Perché quand’anche si riuscisse a stare in celle singole, la riservatezza, che tra l’altro è LEGGE, è pari a quella di una piazza di comari: tipo la gente che ti chiama “infettivologo” e poi le conversazioni a porte aperte sono come al dehors di un ristorante. C’è il parlottare dietro le spalle e un conseguente isolamento ben selettivo, per poi finire con tutti i sieropositivi imboscati che vengono in cella tua come al confessionale del grande fratello. E si crea una piccola comunità occulta. Ma occulta perché poi?
Trent’anni di questa bella vita portano un notevole logorio psichico che andrebbe supportato da psicologi in gamba e presenti. Noi fortunatamente ne abbiamo una molto brava e con la quale abbiamo confidenza e fiducia; ma quanto alla presenza in sezione lascia a desiderare; non penso a causa sua, ma delle ore che per contratto può dedicare al suo lavoro. E non è certo un lavoro facile, perché potete bene immaginare la devastazione che trova in ognuno di noi, e la quantità di cose negative che deve tirarci fuori per aiutarci a indirizzare al meglio le nostre energie in cose costruttive.
Per fare bene tutto ciò le occorrerebbe del tempo, che spero le diano, e proprio parlando di tempo vorrei farvi presente una cosa. La malattia in questione, ha una evoluzione, oggi, molto rallentata se ben curata, che porta ad una fase finale molto brutta sopratutto se non c’è supporto della famiglia. Spesso gli spazi temporali vuoti diventano uno spazio depressivo in cui infilare qualsiasi prospettiva negativa. Quindi, per non cadere in una malinconoia pericolosa e distruttiva sarebbe utile impegnarsi e operarsi in qualcosa. Sarebbe auspicabile, dunque, trovare una soluzione costruttiva tanto per noi che quanto per l’amministrazione penitenziaria, OVVERO, dare un’opportunità seria alla costruzione di un obiettivo valido su cui lavorare nel corso degli anni di reclusione, e da continuare poi all’esterno (che è una prospettiva auspicabile per il resto della popolazione).
Ora, però, è il caso di fare un salto nel presente. Io sono ristretto nella terza sezione del blocco A, una realtà davvero grande. La sezione Prometeo ha vissuto tempi in cui era il fiore all’occhiello del Lorusso Cutugno; oggi resta ancora una sezione aperta con celle singole, ben pulita e con persone che imparano a responsabilizzarsi; discutiamo la sera dopo aver mangiato tutti insieme, con una cucina indipendente gestita da due o tre socializzanti, i più maturi e responsabili del gruppo. Qui non devo chiedermi ogni giorno cosa pensano della mia malattia le persone con cui vivo. E così resta il tempo per l’amicizia e l’incentivarsi a vicenda a lottare e vincere sulle difficoltà del nostro modo di vivere. La vita non è rose e fiori per nessuno di noi, ma la mia non voglio sia fatta di sole spine. Sono stato capace di costruire belle cose e belle relazioni fuori e voglio fare lo stesso qui; e mi ritengo oggi uno dei pochi fortunati ad essere entrati a far parte di questa realtà e trovare dei veri amici.
Domanda: Come è possibile allievare o diminuire questo stato ghettizzante che viviamo a causa della nostra malattia? Il personale penitenziario è tecnicamente informato e formato su come ci approccia a un detenuto sieropositivo? E soprattutto è informato sulle modalità del contagio? Nel 2016 credo che sia facile capire che l’HIV non si trasmette stringendo una mano, si possono creare delle campagne informative sia dentro che fuori su questa malattia a tutti ancora molto sconosciuta?
E con questo ho terminato, vi ringrazio di essere qui e di avermi dato la possibilità di farmi ascoltare e credo che dicendo questo parlo a nome di tutta la sezione. Colgo l’occasione pe ringraziare chi ci ha permesso di avere una voce all’esterno del carcere: i volontari del blog “Dentro e Fuori” e i ragazzi dell’associazione “La Brezza” e gli infettivologi dott. Leo e dott. Giuliano. E un ringraziamento particolare ai nostri socializzanti che cercano di mantenere la nostra sezione unita nonostante le difficoltà.
Davide
Comments 1
Ciao Davide
complimenti per la responsabilita che mostri nel tutelare gli altri e nella consapevolezza (forse un po troppo elevate) del rischio di trasmissione della malattia. Ho visto ora il servizio di repubblica sulla radio ed ho scoperto l esistenza di questo blog.
Grazie per il tuo messaggio
Angelo