Lettera dei detenuti della sezione Prometeo del carcere di Torino all'Associazione Antigone

Filippo denuncia le condizioni detentive della sezione Prometeo

La lettera dei detenuti di Prometeo all'Associazione Antigone

Siamo dei detenuti ristretti presso la sezione Prometeo della C.C. Lorusso e Cutugno di Torino, ormai inesistente tranne che sulla carta.

Si chiede di avere un incontro con i detenuti della sezione Prometeo, del blocco A della C.C. Lorusso e Cutugno di Torino, per poter instaurare un dialogo costruttivo sulle problematiche attuali che gli stessi cercano di affrontare.
Credo che tali tematiche sia opportuno affrontarle anche con attori terzi che non fanno parte della dinamica processuale, dal momento che la maggior parte delle volte le richieste da noi effettuate finiscono nel dimenticatoio.

Vi anticipo alcune di esse ed esponendole a voi mi auguro che vengano portate a nostro nome nelle sedi adatte.

Siamo persone con patologia di HIV e siamo più deboli, quindi anche un’influenza ci fa soffrire molto. Motivo per il quale siamo ristretti in una sezione che sulla carta si dichiara essere “Sanitaria” ma il medico preposto non risponde alle nostre richieste tempestivamente. I nostri malesseri non vengono curati, il medico ci chiama dopo diversi giorni dal momento in cui abbiamo esposto il problema, minimizzando le nostre patologie. Tale medico dovrebbe rispondere alle patologie diverse dall’HIV, invece la dott.ssa Giuliano e il dott. Leo sono preposti a curare la nostra principale malattia. Spesso le nostre richieste generiche vengono accolte dalla dott.ssa Giuliano anche se non sono di sua competenza, cosa di cui le siamo grati, e vengono riportate alla direzione sanitaria, ma purtroppo, non essendo pertinenti ai suoi compiti, tali richieste vengono comunque eclissate, ponendo la stessa in una condizione di difficoltà lavorativa.

L’art.1 comma 5 dell’Ordinamento Penitenziario recita:

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti”, e l’art.15 dello stesso recita: “Il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia.
Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurato il lavoro. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell’autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica.

Al contrario da quanto previsto dagli articoli sopracitati, noi siamo esclusi dalle attività lavorative svolte all’interno del carcere, tranne per quelle a rotazione, ovvero i lavori domestici interni all’Amministrazione Penitenziaria (rotazione che varia da due a sei mesi di lavoro).
Tale esclusione avviene anche per la frequentazione dei corsi scolastici (corso da OSS e scuole medie) e per i corsi di formazione lavorativa (cuciniere, addetto alle pulizie e giardinaggio). Tutto ciò avviene perché una direttiva interna specifica prevede che per la frequentazione dei corsi bisogna risiedere nel blocco C o nel blocco B della Casa Circondariale, ma noi essendo nella sezione a custodia attenuata del Blocco A a causa della nostra malattia, non possiamo essere trasferiti. La nostra malattia è quindi causa di esclusione dalle liste dei lavoranti. Anche se tale trasferimento dovesse avvenire, ci ritroveremmo a dover affrontare nuovamente le forme ghettizzanti che caratterizzano i nostri vissuti a causa della malattia che ci portiamo dietro: all’oggi, infatti, l’ignoranza fa si che non si conosca la differenza tra HIV e Aids.

Nello specifico ho subito una discriminazione a seguito della mia richiesta di andare a lavorare presso la cucina centrale del carcere, dal momento che altri detenuti provenienti dalla mia stessa sezione hanno avuto la possibilità di lavorare in tale settore, la risposta che ho ricevuto dalle educatrici non è stata esplicitamente negativa ma hanno affermato l’eccezionalità di tale gesto e quindi l’impossibilità di un mio accesso al lavoro. Sappiamo che il lavoro interno può essere un prerequisito per accedere alle misure alternative, e al lavoro all’esterno nello specifico, ma se tale possibilità ci viene preclusa da principio è evidente che avremo ancora più difficoltà nel processo di reinserimento. Ancora non mi è chiaro a cosa è riferita tale eccezione e soprattutto perché esista un’eccezione ad una regola non scritta. Inoltre l’art. 20 dell’Ordinamento Penitenziario recita:

Nell’assegnazione dei soggetti al lavoro si deve tener conto esclusivamente dell’anzianità di disoccupazione durante lo stato di detenzione o di internamento, dei carichi familiari, della professionalità, nonché delle precedenti e documentate attività svolte e di quelle a cui essi potranno dedicarsi dopo la dimissione, con l’esclusione dei detenuti e internati sottoposti al regime di sorveglianza particolare di cui all’art.14-bis della presente legge. Il collocamento al lavoro da svolgersi all’interno dell’istituto avviene nel rispetto di graduatorie fissate in due apposite liste, delle quali una generica e l’altra per qualifica o mestiere.

Purtroppo non siamo a conoscenza di queste liste, non sono pubbliche e non veniamo automaticamente inseriti sulla base dei criteri sopracitati, ma solo dopo un’apposita domandina la nostra richiesta viene, forse, accettata.

Dal punto di vista del sostegno psicologico, è evidente che la nostra malattia porta con sé un vissuto demoralizzante e difficile da affrontare da soli, in condizione di detenzione tale vissuto si acutizza e non abbiamo nessun supporto psicologico. Tale figura è prevista, ma non viene mai a farci visita e anche a seguito delle nostre richieste tramite domandina, la stessa non si reca mai in sezione e non ci chiama per un colloquio.

Altri punti che non sono problematiche interne alla sezione 6 ma comprendono tutti noi reclusi riguardano il mantenimento carcerario trattenuto dal compenso ricevuto per il lavoro interno. Tale mantenimento non è fisso ma oscilla, nel senso che più è alta la paga più alta è la trattenuta: non c’è una tariffa fissa, come dovrebbe essere e come è sempre stato prima dell’aumento ministeriale, e, cosa peggiore, non viene rivelato il calcolo.

Poche settimane indietro i Garanti dei Detenuti hanno pubblicizzato su giornali e tv regionali la distribuzione di un vademecum all’interno del carcere: tale distribuzione non è mai avvenuta. Il Garante non è una presenza costante e quando otteniamo un colloquio e riusciamo a esporre alcune delle problematiche che ci affliggono, non si sa mai la risposta.

Sempre su una testata giornalistica (“Cronaca qui”), in data 28 novembre 2017, è stata pubblicata una breve intervista al Direttore della C.C. Lorusso e Cutugno, nella quale, tra le altre cose, viene portata all’occhiello la sezione “Nuovi giunti” del carcere, specificando che: “Sono luoghi ben tenuti, in condizioni migliori rispetto alle altre sezioni del carcere dove le persone iniziano il loro percorso nel sistema carcerario in modo soft”. Noi non siamo d’accordo e non riteniamo che in questa sezione i detenuti ricevano un’accoglienza dignitosa o particolari attenzioni.

La nostra quotidianità si svolge tra quattro mura e la struttura non è funzionale per la nostra detenzione in dignità. Ad esempio la TV che abbiamo in dotazione non è visivamente tarata per trasmettere le immagini selezionate con il digitale terrestre, infatti lo schermo essendo più piccolo ci permette di vedere solo un quarto dell’immagine, la parte centrale, tutto ciò che accade intorno non è da noi visibile (se due persone parlano noi vediamo solo il vuoto centrale, e sentiamo le voci, le persone dobbiamo immaginarle). I canali concessi all’interno del carcere sono differenziati in base alle varie sezioni: “Arcobaleno”, “Protetti”, “Art. 21” e “Comuni”. L’ascensore è stato rotto per svariati mesi, e le persone detenute che lavoravano come portavitto per molto tempo hanno dovuto trasportare per le scale i contenitori di cibo bollente. Le condizioni igieniche dell’infermeria sono pessime.

Per quanto riguarda le relazioni familiari, ai detenuti che necessitano effettuare i colloqui interni, sono concessi cinque colloqui mensili e non sei, come accade per il resto della popolazione detenuta che fa i colloqui esterni, nonostante il totale delle ore rimanga invariato.

I detenuti che necessitano un ricovero per motivi di salute vengono trasferiti al “Repartino” di un ospedale esterno. Il Repartino dei detenuti preclude ogni diritto umano ai ristretti, infatti molti detenuti chiedono le dimissioni spontanee e altri oltre le dimissioni vanno incontro a rapporti disciplinari o ancor peggio denunce. Io nello specifico ho ricevuto una denuncia per calunnia dal responsabile del Repartino nonostante mi sia attenuto alle regole o meglio agli articoli dell’Ordinamento Penitenziario.

Queste sono solo alcune problematiche, sarebbe più semplice esporle in un confronto diretto, e spero che me ne diate l’opportunità. Spero che prendiate in considerazione la mia richiesta di invito nei vostri confronti.

Filippo Peligno

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