Andrea riflette sui tanti problemi del reinserimento per i detenuti

Andrea e il racconto del reinserimento

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Il tema del reinserimento, ad oggi, è un tema molto acceso su cui il dibattito è ancora del tutto aperto in quanto è chiaro che i risultati raggiunti fino ad ora sono insufficienti. Tuttavia finchè se ne parla significa che c’è la possibilità col tempo di risolvere questa matassa, anche perché è ridicolo che un paese come l’Italia presenti oggi dati sconfortanti per quel che concerne recidiva e sovraffollamento.

L’articolo 27 della Costituzione parla chiaro: “la pena deve tendere al reinserimento del detenuto” e anzi lo Stato dovrebbe prendersi carico ancor di più di queste persone in quanto definite “con gravi disagi sociali” e questo non perché sia un detenuto, ma perché è un dato oggettivo che più lo Stato riesce a risolvere il numero di persone che commettono reati e più le nostre strade sarebbero sicure, tanto per dirne una, e sono molti altri i vantaggi che la società potrebbe trarne.

Allora io mi chiedo se è possibile che uno Stato non riesca a risolvere il problema, con tanto di fondi che l’Unione europea sarebbe felice di stanziare a riguardo, di queste 60.000 persone?

Tuttavia dobbiamo considerare che ci troviamo in un Paese che non riesce neanche a aiutare i propri cittadini, lavoratori, disoccupati, in situazioni di forti disagi e anzi appena può lo espropria di quanto in loro possesso se non pure della loro onorata dignità.

Come vedete sembra facile parlare di reinserimento, ma sono molte le cose da considerare….

E’ vero che la funzione del carcere ha fatto passi da gigante negli ultimi 30, 40, 50 anni, ma è ancora limitata ad accompagnare il detenuto nella sua detenzione offrendogli ben poche opportunità concrete per il suo ritorno a una vita “normale”.

Il problema persiste perché le istituzioni cercano di superarlo ogni qual volta ci troviamo a dover fare qualcosa, allora fanno la legge che svuota momentaneamente le carceri, o introducono dei benefici che permettono un rientro in società graduale, ma queste non sono soluzioni, ma semplicemente modi per superare il problema temporaneamente, infatti si torna sempre al punto di partenza.

Io credo che una soluzione vera e propria non ci sia, ma bisognerebbe guardare il problema da un punto di vista più ampio; cioè seguire la persona dal suo ingresso in carcere (perché ha commesso reato, condizione sociale, capire in che modo sarebbe più adeguato indirizzarlo al futuro…) fino al suo effettivo rientro nella società e ancora oltre, mettendo a disposizione persone, organi preposti e fondi perché questo diventi possibile.

Le possibilità di sono come dimostra l’Istituto di Bollate (il più all’avanguardia di tutta Italia) dove vi è una scelta così ampia di corsi lavorativi, di istruzione, di formazione, che una persona in automatico trova qualcosa che gli piace fare, la impara e se la porta fuori dove viene ulteriormente seguito. Infatti Bollate denuncia la percentuale più bassa di recidiva in tutta Italia, qualcosa come il 10 o 20 per cento, una vittoria. Quindi è chiaro che all’interno del carcere la base deve essere l’istruzione, la formazione e il lavoro.

Ma non una sezione ogni cinque, in cui così diventa solo un modo per passare diversamente il tempo, ma ogni sezione deve avere un corso diverso in modo da trasformare il carcere da una scuola del crimine a una scuola vera e propria, in cui le persone possono usufruire dei servizi che magari, per i disagi subiti, non hanno potuto seguire in precedenza, dando loro così una concreta opportunità.

In secondo luogo è necessario abbattere il muro del pregiudizio che ci divide dalla società, facendo conoscere i detenuti al mondo esterno, altrimenti tutto sarebbe inutile se la gente non inizia a capire che sì siamo persone che hanno sbagliato, ma siamo pur sempre persone.

Perché le istituzioni non provano a dibattere con la popolazione detenuta per cercare di trovare delle soluzioni? Potrebbe essere la chiave di svolta, anche perché cosa ne possono sapere loro di noi?

Credono di sapere tutto ma in realtà non sanno proprio niente, e questo si vede dai risultati che portano a casa… Personalmente vi posso dire che da qua dentro la realtà non propone chissà quali sbocchi per il futuro, infatti le persone che riescono a cambiare il loro percorso possono ringraziare solo se stessi, la loro buona volontà e la determinazione.

Lo Stato non ti aiuta, fa giusto lo stretto necessario concedendo lavori in concomitanza ai benefici con “stipendi” di 300, 500 euro al mese. Parliamoci chiaro, una persona non riesce neanche a sopravvivere con queste cifre a meno che non sia supportato dalla famiglia.

E poi quando finisci la pena ciao e tanti saluti, tutti ti girano le spalle e con la tua bella fedina penale sporca e i pregiudizi che galoppano nella nostra società, ti trovi già con un piede in galera, perché credetemi nessuno vuole avere come dipendente, socio o collaboratore un ex detenuto, se può farne a meno.

Io fortunatamente negli ultimi anni ho imparato a vedere le cose da una prospettiva diversa, cioè di voler vivere la vita e non stare in sti posti a fare la muffa. Pertanto, mi sono dovuto confrontare con la realtà e capire se avrei mai potuto accettare di fare una vita da sottomesso a questo Stato, che per quanto fortunato tu possa essere a trovare un lavoro con uno stipendio medio di 1000 / 1200 euro al mese, ti porta comunque a dover lavorare una vita, 30 – 40 anni, prima di poter aver costruito qualcosa e accedere alla libertà, in sostanza quando hai finito di vivere…

Sarebbe a dire che dovrei accettare di essere spremuto come un’arancia da uno Stato indegno prima di poter trovare un po’ di serenità. Fatti e rifatti questi conti sono giunto alla conclusione di tanti altri giovani italiani che come me hanno deciso di vivere una vita lontana dal proprio paese, ma felice.

Andrea

Comments 3

  1. ciao andrea, credo che le cose che dici siano tutte giuste, ma mi sembra quasi che da come scrivi ti sia dovuto un aiuto e sinceramente questo non lo capisco. parli di 500 euro al mese, ma lo sai che mio padre guadagna tanto senza mai aver commesso un reato? allora mi chiedo, si è giusto quello che dici, nella teoria, ma nella pratica qui fuori siamo messi nello stesso modo, quindi è difficile poter dare a voi quello che non abbiamo noi. inoltre dici che le istituzioni non parlano con voi, ma voi lo avete mai chiesto? avete mai detto che credete di aver bisogno di questo e di quell’altro?

    grazie
    ciao

    1. Ciao Andrea,
      leggendo il tuo scritto ho avuto modo di pensare..
      Il fatto che tu voglia “scappare” dall’Italia perchè pensi che qui il sistema non funzioni adeguatamente; l’ho letta come una voglia di avere continuamente regole e anche una possibilità di allontanarti dal giro di persone che ti hanno condotto a commettere il tuo reato.
      Il fatto è che la realtà sociale è uguale in tutti i Paesi, le persone che ti porteranno nella cattiva strada le troverai ovunque,la questione sta nel confrontarsi con sè stessi poichè convivrai sempre con il tuo IO.

  2. Ciao Andrea,
    riuscire a comprendere la società sarà sempre difficile, finchè non riusciremo a comprendere a fondo noi stessi.
    Viviamo in un mondo costruito sull’illusione, emozioni sintetiche sotto forma di pillole, guerra psicologica sotto forma di pubblicità, lavaggi del cervello sotto forma di media, bolle isolate controllate sotto forma di social network.
    Reale? Non siamo mai stati così lontani dalla realtà dall’inizio del secolo.
    Viviamo ipnotizzandoci nel più profondo torpore in cui l’umanità abbia vissuto.
    Devi scavare in profondità, prima di trovare qualcosa di reale.
    Spero che riuscirai ad affrontare te stesso…

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