Scheda film: https://www.ilcontesto.org/evisioni-2018/je-so-pazzo/
Tante volte ho pensato che sarebbe bastato solo ancora un piccolo scarto, solo ancora un’altra svolta imprevista nel percorso della vita per oltrepassare anche quell’altra di linea rossa. Dopo quella, abbondantemente superata, che, in maniera molto discutibile, divide il legale dal non, tante volte ho pensato che sarei passato dall’altra parte anche da quella linea che separa i “normali ” dai “pazzi” e diventare così deviante tra i devianti.
In certi momenti il turbinare degli scuri pensieri si placava solo cullandosi nella serenità del momento in cui anche quell’altro muro sarebbe stato scavalcato ed era un pensiero di pace perché allora non avrei avuto più nessuna colpa, non mi sarei dovuto più dolorosamente battere il petto nel riconoscere le innumerevoli scelte sbagliate (che non necessariamente sono quelle che rientrano nella categoria dell’illegale) perché sarei stato considerato folle, incapace di intendere e di volere, non in grado, ai sensi della legge, di prendere consapevoli decisioni.
Quando il leitmotiv della propria esistenza è l’equilibrio sul baratro, basta davvero poco perché anche quell’ultimo barlume di stabilità venga meno e passare anni in stato di detenzione non fa che rendere ancora più probabile questa possibilità, visto che in carcere ogni stranezza, discrepanza, è vissuta come un tentativo di destabilizzazione dell’istituzione e per questo meritevole delle peggiori punizioni, come il trasferimento coatto all’OPG.
Nelle interminabili notti insonni passate dietro le sbarre, tanti sono i pensieri cupi e pessimistici che, insieme all’irresistibile voglia di un gesto definitivo che dia voce a tutta l’angoscia racchiusa dentro, fanno insistentemente capolino nella mente, per cui quando ascolto il toccante racconto di Michele, ex internato all’OPG di Sant’Eframo Nuovo (NA) sono preso da un moto di empatia nei suoi confronti e comprendo le sue paure, i suoi abissi e le sue speranze, e vorrei che fosse qui per abbracciarlo e dirgli che è il mio super-eroe.
Nonostante il macigno del reato, quello di un’importante diagnosi medica e dei terribili momenti trascorsi in quel luogo di morte, Michele ha il coraggio di rimmergersi, catarticamente, nel suo sofferto passato e di raccontarci dove lui ha trovato la forza (nella scrittura, nel teatro) e di come mai non abbia abbandonato la speranza non solo di uscire da lì, ma anche di riprendere in mano la sua vita, tornando a gioire e ad amare (nonostante la detenzione, mette un annuncio “matrimoniale” su una rivista, intrattenendo rapporti epistolari). Ma oltre al racconto, mai vittimistico o polemico, di Michele c’è il presente, e ho trovato davvero bella la netta contrapposizione tra la narrazione del passato, pieno di buio e ombre, e quella dell’oggi, tutta luce e vitalità, e penso che non ci sia miglior messaggio di speranza che vedere un luogo di segregazione rinascere in luogo di incontro e di condivisione. Oggi l’ex OPG di Sant’Eframo, come ben documenta il mediometraggio di Andrea Canova, dopo anni di abbandono è stato occupato dai ragazzi del collettivo “Je so’ pazzo” ed è diventato una sorta di casa del quartiere, dove hanno sede un ambulatorio solidale, una clinica legale per immigrati, corsi (di boxe e arrampicata) e molte altre attività.
Ma pur in questo tourbillon di attività, non si è dimenticato il dolore lì vissuto e allora ecco le visite guidate per i giovani studenti e le mostre fotografiche, per ricordare a tutti noi che, come le catene della schiavitù e le camicie di forza dei manicomi, prima o poi potranno essere distrutte anche le sbarre delle prigioni.
Randle Patrick McMurphy