Parte prima
Quella che leggete è la prima di un articolo in tre parti, curata dai volontari della ex onlus Il Contesto (prossima a diventare qualcos’altro, in virtù della tanto famosa quanto famigerata Riforma del Terzo settore) nonché redazione del blog Dentro e fuori. La seconda e la terza parte invece sono a cura di un* dei nostri volontar*, Marina Pinto, che ha dedicato alla vicenda che andiamo per raccontare due ordini di riflessioni differenti. La storia è quella di Salvatore Cuono Piscitelli, conosciuto dai detenuti col soprannome di “Sasà”, morto nel carcere di Ancona nella notte tra l’8 e il 9 marzo 2020. La causa della morte accertata e dichiarata è un overdose da farmaci. I farmaci di cui Salvatore e altri 12 detenuti hanno abusato provenivano dal Carcere di Sant’Anna di Modena, all’interno del quale, nella giornata dell’8 marzo, è scoppiata una rivolta analoga a quella scoppiata in altre carceri italiane nello stesso periodo (l’articolo linkato li elenca: Poggioreale, Frosinone, Vercelli, Alessandria, Palermo, Bari, Foggia, Pavia, Milano, Roma, Trani, Secondigliano, Rieti e Bologna). Naturalmente la scintilla che ha acceso la protesta è l’epidemia da coronavirus (SARS-CoV-2), ma la miccia era molto lunga e arrivava da molto lontano. Le ragioni, la sostanza detonante (e detonata), sono molte. La seconda e la terza parte di questo articolo esploreranno due aspetti alla base di queste ragioni. Qui ci limiteremo a introdurli.
Nella seconda parte, “Gli imprenditori morali e il muro di gomma del penitenziario”, ci si occuperà di come il racconto della morte di Piscitelli è stato portato avanti. Se avete aperto i link che abbiamo inserito finora nel testo, qualcosa avrete già intuito. Lo scorso agosto, infatti, due lettere, riportate dall’agenzia di stampa AGI, raccontano che, a seguito delle rivolte di Modena, i detenuti che sono stati prelevati e trasferiti in altre parti di Italia (nel caso di Piscitelli, ad Ancona), hanno ricevuto maltrattamenti e percosse. Ancora il 20 novembre 2020, cinque detenuti firmano un esposto chiedendo che sia fatta luce sulle ultime ore di Sasà. In particolare, come verrà poi raccontato, pare che i detenuti nel carcere di Ancona avessero chiesto a gran voce soccorso medico per Piscitelli, il quale versava in uno stato di salute assai precario; ma che quegli stessi soccorsi gli siano stati negati. A seguito dell’esposto, la procura di Modena ha aperto un fascicolo contro ignoti per indagare su un possibile reato di omicidio colposo. Come avrete avuto modo di leggere nei diversi link che abbiamo condiviso, la Polizia Penitenziaria nega ogni gratuità della violenza, ma non la violenza in sé. Riportiamo di seguito un virgolettato attribuito a Gennarino De Fazio, segretario generale della UILPA Polizia Penitenziaria: «In quel contesto, se c’è stata violenza la possiamo definire “legittima” perché serviva per ripristinare l’ordine, evitare evasioni ed eventuali soprusi di detenuti sui loro compagni». Le domande che la nostra volontaria pone sono chiare: chi è che decide come sia andata veramente? Chi è che stabilisce la misura della gratuità della violenza? Può bastare dire che Salvatore Piscitelli sia morto di overdose per avere assunto il metadone che ha rubato dall’infermeria del carcere di Modena, durante l’8 marzo? Si può ridurre la sua vicenda alla storia di un uomo che muore della sua tossicodipendenza? A chi spetta veramente il diritto di raccontare la sua storia, e come?
Nella terza parte, “Sapere medico vs. sapere militare”, si approfondisce un aspetto importante della vicenda, ben riassunta da questa frase, estrapolata dall’articolo del “Manifesto” linkato qui sopra (ma rielaborata e riproposta anche da altre testate): «Tra i punti da chiarire c’è proprio il fatto che Piscitelli, al suo arrivo nelle Marche, non sarebbe stato sottoposto a una visita medica approfondita, come prevede la prassi e, nello specifico, sarebbe stato necessario viste le sue condizioni». Il racconto, come abbiamo visto, è molto chiaro su questo punto: Salvatore Piscitelli, nelle sue ultime ore di vita, necessitava di cure che non ha mai ricevuto. Il portale “GiustiziaMi” approfondisce la questione, chiarendo gli interrogativi sulla vicenda: «I medici presenti avevano l’onere e il dovere di visitare tutti gli “sfollati”. Ma quanti dottori sono stati attivati e in quale arco temporale? […] Quanti detenuti ha visitato ciascun medico? Quanti minuti ha potuto dedicare a ogni recluso, per accertarsi che stesse bene e fosse nelle condizioni di viaggiare? Chi ha firmato il nulla osta sanitario per il trasferimento in un altro carcere di Sasà e dei tre compagni che non ce l’hanno fatta? I medici o la direzione hanno provveduto a caricare farmaci salvavita sui mezzi di trasporto usati per le traduzioni? Se no, perché?». Chi stabilisce, di fatto, quando e come intervenire, soccorrere, visitare? Chi deve essere considerato responsabile per le omissioni, le cure mancate, gli interventi tardivi, nella quotidianità delle case circondariali? Perché il diritto alla cura sanitaria, nelle carceri, sebbene stabilito per legge, è sempre oggetto di prese di posizione arbitrarie? Questo il tema della terza parte, che apre scenari che evadono dalla vita di tutti i giorni, dal “semplice” (per usare un larghissimo eufemismo) rapporto tra assistenti e detenuti, e che apre il discorso sull’effettiva capacità del sistema detentivo italiano di rispettare quanto stabilito in merito alla tutela dei diritti umani.
Infine, questo articolo in tre parti è anche un pretesto: per ricordare un nome, quello di Salvatore Cuono Piscitelli, anche se, come abbiamo ricordato, sono 13 le vittime di quegli eventi. Si tratta di storie che si dimenticano presto; che, come abbiamo detto e come vedremo, richiedono e subiscono interventi di forte riscrittura e rielaborazione: del resto, il problema non è più un problema, se il problema smette di essere un problema. E tuttavia, sappiamo che un problema c’è, nelle carceri italiane, che la stessa Comunità Europea ci chiede di risolvere. Un problema per cui c’è chi si impegna in azioni nonviolente (e che viene trattato forse con troppa leggerezza). Un problema che determina anche le sorti di una Legislatura. Il nostro desiderio è di contribuire con i nostri spunti e le nostre riflessioni, per una società in grado di restituire dignità a ogni storia, a ogni cittadino, anche a chi non c’è più. Buona lettura.