Sulla storia di Salvatore Piscitelli – Terza parte

Sapere medico vs. sapere militare

Sono passati 12 anni dal lontano 2008, anno in cui si celebrava una vittoria importante per il sistema sanitario attraverso il D.P.C.M del 1 Aprile del 2008 che rendeva esecutivo il decreto legge 230 del 1999, ove si determinava l’autonomia del sistema sanitario nell’ambito del sistema penitenziario. Con questo si sanciva che la salute delle persone detenute diventasse di competenza del Servizio sanitario nazionale. Nella pratica, questa vittoria ha comunque incontrato diverse difficoltà e oggi ne paga le spese Salvatore. Il problema risiede nella difficoltà a comunicare tra diverse professionalità all’interno del penitenziario, che rispondono dunque a mandati differenti. Il medico deve tutelare la salute, l’agente deve perseguire la sicurezza e l’educatore deve puntare al reinserimento. Tre obiettivi diversi all’interno di uno stesso sistema, che hanno difficoltà a determinare i confini di agibilità e comunicabilità per la salvaguardia del detenuto stesso – colui che, alla fine, sconta sulla propria vita i limiti di tale impossibile negoziazione di poteri. Alla fine, infatti, “i padroni di casa” (Torrente,2018) rimangono gli agenti e da loro dipendono tutte le altre figure professionali che agiscono all’interno del sistema-carcere, sia per una questione meramente pratica che per una, decisamente più subdola e meno evidente, dovuta da una forma di condizionamento psicologico. Per quanto riguarda la prima, gli agenti sono gli unici diretti interlocutori con il detenuto, gli unici all’interno del sistema penitenziario che non devono passare per altre professionalità per potersi relazionare con la persona reclusa. Gli educatori, per fare i loro colloqui, devono arrivare in sezione e chiedere all’agente di fare uscire il detenuto dalla propria cella e portarlo nella stanza colloqui; così anche il medico o l’infermiere, per poter visitare qualcuno, devono chiedere all’agente di accompagnarlo in infermeria. Si capisce bene, quindi, che sarà l’agente stesso, e a sua totale discrezione, a sceglierne le tempistiche, le modalità ma anche l’esecutività, sia per educatori che per infermieri non esiste possibilità di supervisionare tale comunicazione. Nello specifico della vicenda, il 9 marzo Salvatore, dopo le rivolte, fu portato in cella nella casa circondariale di Ascoli Piceno in evidente stato di alterazione e malessere fisico. Nell’esposto si scrive che i compagni di cella hanno chiamato il commissario della sezione per richiedere delle cure adeguate per ben tre volte: la sera stessa appena tradotto il detenuto, la mattina seguente e di nuovo intorno alle 9.00. Queste richieste caddero nel vuoto e da parte degli agenti non vi furono risposte. Il commissario e gli agenti in quelle ore hanno evidentemente firmato la condanna a morte di Salvatore, eclissando le richieste di cure sanitarie da parte del recluso e ostacolando di fatto il mandato presente nella riforma sulla sanità penitenziaria del 2008, in questo caso escludendo completamente una professionalità dalla decisione di tutela o meno. 

Il secondo meccanismo prima accennato risiede nel condizionamento psicologico che subiscono i sanitari nell’ambito penitenziario, poiché sembra che, dopo alcuni anni che si lavora in carcere, si viene trascinati in un vortice di pregiudizi e preconcetti che rischia di assimilare tutti i pazienti all’interno della più vasta “categoria”: quella del detenuto. Questo individuo agli occhi dei professionisti sembra avere un carattere, un modo di comportarsi e di relazionarsi che sottende la presenza di motivazioni uguali per ogni persona rinchiusa e diverse da qualsiasi altro tipo di paziente all’esterno del sistema carcere. Sulla base della conoscenza di questa “categoria” avviene, da parte del sanitario, un meccanismo di valutazione delle sofferenze e di conseguenza la scelta o meno di intervenire, e con essa le tempistiche e le modalità, sulla base dell’euristica della rappresentatività e della disponibilità. Le euristiche sono delle scorciatoie mentali che portano a delle conclusioni con il minimo sforzo cognitivo (Kahneman, 2002). Sono abilità che gli esseri umani hanno acquisito nel corso della loro evoluzione e che sono molto funzionali nei momenti in cui bisogna prendere una decisione in situazioni in cui non si ha il tempo e la possibilità di esaminare tutte le caratteristiche del problema che ci viene posto, può essere semplicisticamente espresso con il concetto di intuizione. Ovviamente la capacità di utilizzare l’intuizione è direttamente proporzionale all’esperienza che l’individuo ha in quello specifico settore, solo chi è bravo ed esperto si può permettere il lusso di smettere di pensare (Gigerenzer, 2007), anche se questo spesso porta a degli errori di giudizio molto importanti e di cui quasi nessuno si rende conto. Questi bias cognitivi (Kahneman, 2012; Philip N. Johnson-Laird, 2008) sono quelli che vediamo in azione in ambito penitenziario e che, insieme ad altri fattori, hanno portato alla morte di Salvatore. Per farla più semplice, il medico tende a livellare il suo mandato istituzionale della tutela della salute e si avvicina sempre di più alla tutela dell’ordine, domandandosi a ogni richiesta che proviene dal paziente recluso se sta fingendo o meno, per quale motivo dice di stare male, quale sarà il suo altro fine, come intervenire per tutelare la propria sopravvivenza, se scomodare l’agente o se è il caso di evitare per non inimicarselo ecc. In questo caso il medico ha messo in atto diverse euristiche compiendo diversi bias, prima di tutto l’euristica del conformismo secondo la quale ha iniziato a ragionare e a pensare nello stesso modo in cui pensano e ragionano le altre professionalità del campo penitenziario, che però hanno altri mandati lavorativi. L’euristica della rappresentatività, attraverso la quale hanno attribuito caratteristiche simili a soggetti simili, e dato che la credenza collettiva è che il detenuto mente, e il mio paziente è un detenuto, allora i pazienti del medico penitenziario mentono. Il medico pensa questo ogni volta che il detenuto esprime un malessere, e ignora tutte le informazioni che potrebbero far pensare il contrario. Questa è incentivata anche dall’euristica della disponibilità secondo la quale il medico campiona la sua memoria e utilizza le informazioni recuperate come un indice di frequenza, e in questo caso penserà a tutte le volte che è corso per curare un paziente che in realtà stava solo fingendo (Philip N. Johnson-Laird, 2008). Si capisce bene quali sono gli errori messi in atto senza dilungarsi ancora nella spiegazione e che si aggravano pensando che avvengono all’interno di un contesto istituzionale che dovrebbe garantire e difendere il diritto alla salute.

È così che il tempo passa e il dolore aumenta, e quando il medico avrà fatto la sua scelta chiamerà la guardia, la quale dovrà essere convinta dell’importanza di spostare il detenuto dalla propria cella (chiusa) nella propria sezione (chiusa), per portarlo all’ingresso del proprio padiglione, nei casi fortunati, o nell’altro padiglione ancora più distante dal proprio punto di partenza e così, l’agente deciderà ancora una volta le tempistiche di azione, prenderà il detenuto e lo porterà in infermeria. Inoltre capita che gli infermieri affidino spesso agli agenti la valutazione della sofferenza e della cura richiesta, proprio per evitare inutili spostamenti, e questo ormai è così insito nel lavoro del sanitario che il giorno in cui Salvatore alle 10 e 20 giaceva freddo sul suo letto e l’infermiera stava per intervenire con una puntura che probabilmente gli avrebbe salvato la vita, si è fermata, ascoltando senza dubbi il verdetto medico dell’agente che “gli faceva notare che il ragazzo era già morto” Così, in silenzio e senza ulteriori verifiche, il corpo vivo di Salvatore è stato coperto con un lenzuolo e lasciato morire sul freddo pavimento di una cella della casa circondariale di Ascoli Piceno. Ecco che si può parlare di una “cura sotto controllo” (Ronco, 2018),  il mandato sanitario si confonde con il mandato disciplinante, sia da un punto di vista pratico che da un punto di vista psicologico e comportamentale, rendendo vano il decreto legge 230 del 1999.

  • Ronco D. (2018) Cura sotto controllo. Il diritto alla salute in carcere. Carocci Editore
  • Gigerenze G, (2007) Decisioni intuitive. Quando si sceglie senza pensarci troppo, Milano, Raffaello Cortina Editore.
  • Johnson Laird P.N. (2008) Pensiero e ragionamento. Il Mulino
  • Kahneman D, (2012) Pensieri lenti e veloci. Mondadori Editore
  • Kahneman D, (2002) Heuristics and biases: The psychology of intuitive judgment
  • Kahneman, D. e Tversky, A. (1981) Judgment under Uncertainty. Heuristics and Biases, Science
  • Torrente G, (2013) Le regole della galera. Pratiche penitenziarie, educatori e processi di criminalizzazione. L’Harmattan Italia

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